Pollice e mani verdi

In passeggiata con mio figlio, è stato inevitabile passare a trovare la SQP Sacra Quercia Palustre, ormai da un lustro viva e vegeta all'interno del parco XXV Aprile di Rimini (parco Marecchia). Tappa obbligata: se non uno sguardo, una carezza. 

Stavolta, dopo l'allarme dato dai fidi amici compagni di merende sulla necessità di uno sfalcio ravvicinato per far respirare la pianta, scaraventare la bicicletta a terra e iniziare a strappare le maledette campanelle è stato un tutt'uno. Anche mio figlio mi ha dato una mano, dapprincipio, con pazienza e tenacia. Poi si è allontanato verso gli ippocastani a fare scorta di castagne, prendere la mira e tirarmele. Mancato!

Un sacro furore dionisiaco invece si era nel frattempo impossessato da me. E dopo un timido inizio - strappa qui, strappetta là - ho iniziato con metodo a eradicare tutto ciò che, negli ultimi mesi, si era arrampicato sulla rete di protezione che abbiamo messo un annetto fa ormai. O anche più. Il tempo passa, e la SQP cresce. Vola verso i tre metri. Verdeggiante e rossiccia, come stagione vuole. Dopo aver eliminato le campanelle avvitate sulla rete, ho infilato le mani dentro di essa per raggiungere le foglie imprigionate, il tronco coronato di foglie non sue e con delicatezza, per evitare di rompere anche solo un rametto, ho rimosso tutto. Ultimo atto, lo sfalcio manibus, per liberare i dintorni della rete e tutto ciò che aveva osato infilarsi dentro di essa, puntare verso la piccola, adolescente Quercia Palustre. Sudato, soddisfatto, stanco, schivati i grappoli di castagne (ablativo assoluto + genitivo), ho rialzato la bici, radunato le mie povere cose, scacciate le mosche che hanno vieppiù tormentato la pulizia (probabilmente, ho pensato, man mano che sudavo e saliva la temperatura corporea, si sono fatte più insistenti, audaci), recuperato il figlio, ripartiti, arrivati a casa.

Per poi accorgermi del colore delle mani. Prima di lavarle, foto di rito. Ecco il pollice, l'indice, il medio, l'anulare, il mignolo: verdi. Con questo fuori programma ho appreso il senso letterale dell'avere il "pollice verde" che poi è la clorofilla che si insinua nella tessitura della pelle e la colora, piuttosto decisamente. 

Amo da sempre il verde e la sua cura. Tagliare l'erba, potare la siepe, annaffiare le piante... Prima è stato un dovere, poi il piacere di fare le cose bene - le righe dritte, i contorni con il decespugliatore, le foglie secche, il fieno da raccogliere. Infine il piacere di sapere che, grazie a ciò che fai, contribuisci al benessere di un altro essere vivente. Che ti ringrazia con i suoi colori, con l'energia che ci mette nel crescere, con l'ombra quando serve, con i frutti quando hai fame. Tornavo a casa da Milano, il giovedì, il venerdì. Prendevo la canna e annaffiavo. Piano piano, una pianta, un cespuglio, un fiore alla volta. Era una meditazione, un dialogo, un canto.

Commenti

Post più popolari